Per non lasciare la Pasqua del Signore solamente nella dimensione delle idee o dell’ideale, è necessario tenere in
considerazione due istanze: da un lato il nuovo orizzonte in cui Gesù risorto entra, ovvero quello della gloria, che supera la maniera “dei sensi” di intendere la storia e la realtà. Non è un
caso vedere tanta incertezza nei discepoli, o la stessa Maria di Magdala che confonde il Cristo col custode del giardino. Dall’altro lato la risurrezione non cancella la vicenda storica di Gesù,
che risorto, non è un’altra persona. Ecco il perché della insistenza sui dati corporei nelle apparizioni post-pasquali del Signore: le mani e i piedi forati dai chiodi, il poter toccare,
guardare e vedere, il prendere cibo assieme…sono tutte espressioni di un corpo nella sua interezza e nel suo poter comunicare. Per essere fedeli a
tutto ciò anche la nostra vita si adegua, intrecciando divino e umano, i sensi che comprendono e ci rendono ragionevoli davanti al mistero che man mano si apre, lo Spirito Santo e il nostro corpo
e, in ultimo ma non meno importante, la morte e la risurrezione, intreccio più che mai vittorioso. Questi dati informano la nostra vita: preghiamo e agiamo fra il canto della gioia e la fatica
della sofferenza, mentre attendiamo la giustizia del Regno che ci è dato e promesso. Rinchiuderci in una fede intimistica ci priverebbe dell’incontro con Gesù risorto per le vie del mondo, magari
in attesa dietro alle tante porte che per paura e pigrizia non apriamo, oppure fermo ai crocicchi delle strade che non percorriamo perché esteriormente aride e frequentate da volti “scomodi”. Sicuramente sentiamo il peso del
nostro limite e della nostra esistenza faticosamente redenta, tuttavia splende in noi la scintilla dell’eternità che ci spinge al coraggio. L’incontro con la positività della Parola di Dio ci interpella e ci smuove: Gesù risorto parla di sé come il compimento della Legge e dei Profeti «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le
genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Concludiamo con le parole di s.
Giovanni Paolo II, tratte dall’enciclica Dives in misericordia: «La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo chiama il suo infelice destino. La croce è
come n tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo, è il compimento sino alla fine del programma messianico che Cristo formulò una volta nella sinagoga di
Nazareth: il Signore mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4, 18-19). La dimensione divina della redenzione
non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all’amore quella forza creativa nell’uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità
che proviene da Dio.»