Il Vangelo della quarta domenica di Quaresima porta alla nostra attenzione uno dei sette grandi “segni” compiuti da Gesù, seguendo la narrazione dell’evangelista Giovanni. Egli chiama “segni” i miracoli di Gesù con il preciso intento di mostrare la profondità degli atti di Gesù, in modo da non prestare soltanto attenzione alla guarigione o al prodigio, perché il significato va oltre il segno in sé. Il cieco nato - protagonista di questo segno - si trovava presso la piscina di Siloe. Il nome stesso della località aggiunge un tassello: questo toponimo significa “inviato”, parola che ben si confà a Gesù; egli infatti è colui che è inviato al mondo come Figlio per condurre gli uomini alla sua stessa dignità. Trovandosi la scena nei pressi dell’acqua, è immediato riallacciare la luce che Cristo dà al cieco con l’acqua che tutti noi abbiamo ricevuto col sacramento del Battesimo. Non per nulla i primi cristiani si riferivano al Battesimo dicendo “illuminazione”, perché - nel concreto - chi è battezzato e crede in Gesù, vive e cammina nella sua luce. Sempre restando nel contesto circostante, il segno di cui parla s. Giovanni è avvenuto contemporaneamente alla festa delle Capanne: il tempio, durante la notte precedente la solennità, splendeva di luci fantasmagoriche nell’attesa che, venuto giorno, il sommo sacerdote attingesse alla piscina di Siloe l’acqua lustrale con cui aspergere l’altare degli olocausti. In ultima analisi possiamo definire la vicenda del cieco nato come un itinerario di conversione che conduce al volto di Gesù, ad una sua profonda conoscenza che si realizza a tappe. Dapprima il cieco riconosce il Cristo come uomo, in seguito come inviato, come colui che viene da Dio e, infine, come suo Signore. Tutti allora dobbiamo avere la pazienza di lasciare che i nostri occhi si aprano per vedere in Cristo la nostra salvezza e, come il cieco guarito, saperlo riconoscere Signore e Salvatore.
d. Riccardo